Domani 28 agosto, alle ore 21, allo “Spazio Arte” di Capoliveri si inaugura la mostra “Bambine Mediterranee” di Fernando Valli, artista visivo, poeta e medico argentino.
Fernando come scrive lui stesso nel testo riportato più in basso, arriva all’Isola d’Elba nel 1978 a da allora apre con l’isola un lungo dialogo.
L’artista poliedrico e insofferente segue formazioni diverse: si trova a Parigi nel 1980 per studiare cinema, già quattro anni prima a Buenos Aires ha lavorato come assistente di studio presso Jose Luis Perotta, artista pubblicista, rinomato nella città. Si laura nel 1988 alla UBA (Università di Buenos Aires) in medicina. Dagli anni ’80 e per un decennio lavora nel cinema con cortometraggi, tre lungometraggi, documentari e diversi clips per gruppi musicali.
Oggi ritorna all’Elba per esporre queste immagini scattate al Maretto, comune di Capoliveri, quando la figlia Julia aveva tredici anni.
Sono entrato attraverso le colonne d’Ercole, dal vasto e indomito oceano al mitico mare Mediterraneo.
Il mio sguardo, cresciuto davanti alla linea della pampa argentina e al Río de la Plata (Fiume dell’Argento), capisce l’orizzonte marino, sa decifrare i suoi codici, scritti in chiave di sale e trasparenza.
Sospinto dalla mano del destino, arrivo all’isola per la prima volta, nell’estate del 1978.
Ricordo, dopo un’ora di traversata su un mare calmo, vidi Portoferraio. Intuii che si era aperta la porta verso una lunga dimora.
Si succedevano le stagioni, le passeggiate con l’antica barca dell’ammiraglio, il giro dell’isola in trimarano, gli approdi e gli sbarchi alla palude di Mola o fra i pescherecci di Porto Azzurro. Andare a totani, grigliarli e mangiarli in qualche spiaggia deserta.
Immergermi nel profondo, infinito blu, sospeso, fuori dal tempo.
In tutti quegli anni vedevo crescere le bambine altrui.
Nel 1990, concepita in Brasile e attesa a Buenos Aires, nasce la mia primogenita, in quel porto d’inizio, sognato anni prima.
Il legame diventa indelebile. L’Elba prende una forma nuova, archètipica, fonte permanente d’ispirazione, piccola fiamma nella lontananza.
Vedo la piatta Pianosa, pezzo di carta galleggiante sul piano mare.
L’eterna nuvoletta corona Montecristo e cripta i suoi segreti, sempre in mutazione.
Sento il Maestrale pulire l’aria e sfiorarmi, il Libeccio colpirmi in pieno la faccia.
Là, all’ombra dei pini, le bimbe dormono il letargo dello Scirocco.
Esposta a tutti i venti descritti dai fenici, in questo mare incastonato, l’Elba solca il mio tempo.
Queste poesie scritte dal ‘95 al ’98 (l’infanzia) e le foto scattate nel 2003 (l’adolescenza), sono un capitolo del vissuto a partire da un giorno nel 1978 (o forse prima). Il Mediterraneo e l’arcipelago intero, sono testimoni della veracitá di questo percorso.