Oramai giunta alla XVIII edizione, la Festa dell’Uva di Capoliveri quest’anno ha visto una grande affluenza di persone accorse al paesello per gustarsi la manifestazione di tre giorni unica nel suo genere.
La festa non ha visto né vinti e né vincitori fino alla fine.
Già proprio così, né vinti e né vincitori, perché i quattro rioni hanno dato il meglio di sé allestendo le scenografie per le vie e le piazze di propria competenza.
Partiamo con una breve descrizione di questi ultimi:
La Fortezza ha rappresentato la grande storia di Poldino e la pentola magica (molto bella la recitazione iniziale, e l’isola d’Elba costruita in pannelli dai ragazzi).
Il Fosso ha messo in scena lo sbarco dei Saraceni e il dominio del terribile Dragut, non che la rivoluzione del popolo Capoliverese all’assedio (grande impressione la scena della sfilata e l’ingresso dei Saraceni con la rivoluzione del popolo Capoliverese all’urlo “Capoliveri non muore mai”).
La Torre: ha rappresentato un pezzo di storia molto importante come la Rivoluzione Francese e l’arrivo a Capoliveri dei frati (bellissimo ingresso in piazza con un carro trainato da braccianti con sopra le condannate alla ghigliottina).
Quest’anno dovevano vincere tutti, sia per la cura con cui sono stati allestiti i rioni sia per l’impegno messo da tutti per far si che questa manifestazione prendesse vita.
Purtroppo di vincitore ce n’é sempre uno soltanto e in questo caso è Baluardo ha conquistato la vittoria, portandosi così a ben otto affermazioni nella storia della manifestazione.
Un Baluardo che ha rivisitato gli anni 1915/18 (quelli della prima guerra mondiale per intenderci), dove spesso i ragazzi più giovani partivano per un mondo senza ritorno.
Un mondo che toglieva tutto anche il lavoro dei poveri minatori che inneggiavano fieri il loro inno ogni giorno per farsi forza.
Molto significativo il silenzio iniziale, rotto ben presto da una musica dolce di sottofondo che riecheggiava con melodia nella mente di tutti
Erano i ragazzi di Danzamania che, attraverso il ballo, sono riusciti a ricostruire l’addio di un povero ragazzo chiamato alle armi.
Un balletto che esprimeva tristezza e amarezza, e un pizzico di nostalgia e paura.
Il rione è stato allestito nei minimi dettagli a partire dall’entrata dei minatori con la loro sonata in dialetto, la protesta di questi ultimi che ha portato all’arresto del falso adulatore ed infine il balletto che ha rappresentato l’arrivederci del ragazzo chiamato alle armi.
Contributo di Alessandro Ciucciarelli