Omaggio a Capoliveri del Prof. Dr. Th. Zacharias – Dal libro Capoliveri e le sue miniere della Galleria d’arte Merghental
Tra le cartoline illustrate dell’Isola d’Elba troviamo l’immagine di un vicolo con una vecchia casa priva di effetti estetici eleganti, una casa senza pretese. La scala di pietra conduce dall’esterno all’altezza del primo piano; il muro, fatto di mattoni piani e di conci, è in parte a vista, in parte ricoperto di un rudimentale strato di intonaco applicato con irregolarità.
Tutto ciò appare oggi com’era sempre apparso nei secoli passati, ed essendosi immortalato nel tempo, ancora adesso è pieno di vitalità. Il motivo, incentrato su una delle misere dimore di contadini e minatori rappresenta un saggio di genuinità e di originalità per “CAPOLIVERI“. Il minerale di ferro, i cui giacimenti si trovano nelle vicinanze della località, veniva estratto già dagli etruschi; il suo abbattimento venne sospeso appena nel 1981, con conseguente abbandono delle attrezzature minerarie.
Tre decenni fa, nel 1967, e molto prima che germogliasse il “boom della casa in Toscana“, la coppia di artisti Kurt e Helga Mergenthal di Attenham nell’alta Baviera aveva acquistato la casa di cui parliamo e alcune rovine limitrofe tra le più antiche del luogo. Essi riadattarono i ruderi cadenti mossi da quella rispondenza emotiva in cui raffinatezza artistica e maestria artigianale si uniscono a umiltà e verecondia, all’ossequio della tradizione e all’attaccamento verso il paese e i suoi abitanti. E già la cornice in cui ha luogo l’esposizione familiare “Capoliveri e le sue miniere“, rivela un atteggiamento espressivo che è consapevole e cosciente dell’ambiente in cui s’inserisce e contemporaneamente riesce a donare vitalità all’intero patrimonio estetico della seconda piccola patria. Tale atteggiamento colpisce perché rimane latente e sottinteso. Esso partecipa sia alla vita quotidiana che alla vita del giorno di festa conformandosi più all’ambiente che non alla cura delle testimonianze archeologiche essendo quest’ultima una vocazione artistica mirata al ritocco, al ripasso dei patrimoni storici che li trasforma in una Disneyland d’antiquariato. Un tale atteggiamento dello spirito cerca di tradurre in realtà il patrimonio preesistente. Non si tratta di auto realizzazione mirata a ridurre il paese e la sua gente in una schiamazzante e chiassosa scenografia folcloristica da tempo libero.
Realizzare, dare forma concreta agli elementi preesistenti, dai frammenti dispersi Kurt Mergenthal restaurò la fontana di ghisa del 1888, che vecchie fotografie indicano ancora come il centro della vita del paese, e nel 1988 in occasione del centenario, con l’aiuto dei vigili urbani, la sistemò al suo posto. C’è una cartolina che ricorda l’evento, disegnata questa volta dallo stesso scultore nello stile della fin de siècle.
Elba, chiamata già dai greci “Aethalia” a partire dalla fine dell’attività estrattiva vive del turismo in piena ascesa. Si calcola che l’anno passato (1996), circa 800.000 persone, hanno visitato l’isola. Grazie al flusso turistico l’isola si rigenera dal punto di vista economico, ma fuori dalla stagione è il potenziale nativo a rigenerarsi.
L’esposizione Mergenthal è un omaggio a questo potenziale. I quadri, i disegni, gli oggetti appaiono come il condensato di un’opera d’arte totale che delinea la partecipazione creativa dell’autoscienza culturale dei Capoliveresi acquisita nel corso di molti anni. Le miniere agiscono da calamita sugli artisti, seducendoli, così come il campo magnetico dei minerali di ferro deve aver agito su più di una bussola per avvicinare le navi sotto costa. L’arte dell’epoca moderna ha realizzato una presa di coscienza per le peculiarità estetiche di disusati impianti industriali, i cui elementi formali erano stati creati e utilizzati solo in base a leggi funzionali.
Qui, collocati in un paesaggio drammatico, fra pendii e mare, villaggio montano e miniere, i rottami si trasformano in concreti elementi distintivi storici con una presenza magica, come precludono alcune concezioni progettuali.
Un’altra idea che, al di fuori dell’esposizione, è pure indizio di ambito pubblico, viene suggerita con monumentale evidenza dallo stesso stemma di Capoliveri: un‘ancora disposta verticalmente, attorno alla quale si avvinghia un delfino.
Il simbolo risale all’antica tradizione e divenne uno dei più noti emblemi, e fa pure parte della più antica collezione di emblemi di Andrea Alciati del 1531. Il motto dice: “il principe provvede al bene dei suoi sudditi“. Egli dovrebbe essere come l’ancora irremovibile nella burrasca e, come il delfino amico dell’uomo, trattenerla saldamente sul fondo. Accanto a questo invito alla podestà feudale, invito che può essere trasmesso ai successori democratici di essa, altri libri di emblemi mettono in rilievo l’incitamento alla moderazione: “festina lente”, “chi ha freddo vada adagio”, la via di mezzo fra l’agile flessuoso delfino e l’ancora ferma e immutabile. Come la cittadina abbarbicata in alto sopra il mare così l’emblema – simbolo si erge di fronte allo scenario delle sue origini arcaiche.
In alcuni disegni di Kurt Mergenthal è ritratta la moglie Helga mentre dipinge seduta davanti alle attrezzature abbandonate della miniera, celata da un fazzoletto in testa o con indosso una blusa estiva senza maniche. Forse è il motivo tematico inteso nel senso più ampio della parola, a spingere la pittrice con perseverante assiduità in tale ambiente; quindi anche ciò che i suoi quadri non mostrano in maniera esplicita: il mare, il vento, la vegetazione, i detriti, la ruggine, le rosse pozze d’acqua stagnante con i residui di minerali disciolti. Nei suoi quadri si “sente” la mancanza di quei rumori incessanti di quando c’era la produzione del minerale e tutto questo è rappresentato in un paesaggio semplice che ha mantenuto intatto il sapore delle antiche fatiche ispiranti oggi, sentimenti di grande stima e rispetto.
Lavoratori sovrapposti l’uno all’altro, contenitori e tramogge su trampoli, piattaforme, puntellate, nastri trasportatori, ponteggi, scale; di ferro, di legno, di mattoni; controvenature al filigrana e superfici cubiche che si elevano dal fondo piano o emergono dal pelo dell’acqua o si inerpicano lungo terreni scoscesi. Helga Mergenthal rende queste bizzarre strutture con tratti vigorosi e lineari. La struttura grafica riassume in sè l’oggetto e nel contempo vi s’attiene con estremo rigore.
Rinchiuse in questo reticolo, le superfici dagli intensi colori donano alle costruzioni un carattere espressivo. Gli accenti cromatici derivati dall’ambiente, con una dominanza in rosso, appaiono come sottratti agli edifici, fusi con le proprie tonalità e da questi esaltate con suadente fascino. Spesso le forme complesse e intricate sono collocate su uno sfondo colorato, senza orizzonte, una proiezione severamente controllata con uno sfondo giallo di luce.
Una serie di disegni di formato grande, compenetrati da tocchi di colore quasi in sospensione, colgono le complicate attrezzature in maniera tanto prodiga nel tratteggio quanto esatta in merito alle loro controvenature spaziali. Quali ultimi lavori nacquero oggetti d’ampia espressione che appaiono come opere a rilievo in relazione alla superficie della parete.
Kurt Mergenthal, per disegnare, ama soffermarsi più fra la gente. Abbozza i tipi umani, come stanno seduti al caffè o appoggiati al muro o come, ben agghindati, seguono la processione. Li ritrae per lo più con matite colorate cogliendone in pieno l’indole, la personalità. Le persone devono riconoscere soprattutto se stesse e gli altri, Paolo e Roberto, il Sindaco e il Circolo Culturale. “Ben trovato!” e si ride: disegnare come mezzo di comunicazione. Sorse in tal modo una speciale collezione di immagini ritraenti la vita sociale del luogo.
Il figlio Stefan Mergenthal presenta oggetti rinvenuti provenienti dalla tecnica dell’industria mineraria come “objects touvèes”: “Pezzi simbolici”. L’arte consiste nella scelta dell’oggetto, nel preservarne la forma e nella sua presentazione; sempre su un piedistallo per esaltare il carattere e la fisionomia delle cose.
Tale accorgimento artistico trasforma l’elemento meccanico in una scultura: un simulacro dell’industria mineraria. Anche qui non si tratta tanto di una innovazione nell’ambiente artistico, quanto ancor di più di un mutamento nella percezione della storia patria come materia prima poetica. I cocci di terracotta, le guarnizioni bronzee nelle bacheche dei musei d’antichità furono pure un tempo rifiuti o materiale da riciclare, prima che divenissero oggetti di culto e devozione nel programma di visite. Ciò che aveva reso callose le mani e curvato la schiena di intere generazioni di Capoliveri, acquista attraverso la visione dall’esterno, sviluppatasi in visione dall’interno, una dignità che va al di là della vera conversazione di antiche tecniche.
I tre complessi di opere dei tre Mergenthal si muovono nell’ambito ristretto delle miniere di ferro ma i tre artisti intendono estendere la loro vocazione al recupero generale di tutto il patrimonio culturale del paese di Capoliveri con l’aiuto di tutta la cittadinanza. “L’arte della vita quotidiana”, questa definizione armonizza ed unisce sia l’interesse storico che l’interesse popolare. L’àncora nella sua solidità rappresenta l’elemento stabile, il vivace ingegno dell’uomo di cultura invece, rappresenta la forza instabile, epr cui lo stemma: àncora e delfino si arricchisce di un significato personale e poetico: una dichiarazione d’amore per Capoliveri.