Devo tanto a Capoliveri e alla sua festa dell’uva. Non lo dico per piaggeria, l’ho capito col tempo, col sommarsi degli eventi che sono scaturiti a catena da quell’ormai lontano 1° ottobre 2010.
Sono stata contattata per la prima festa dell’uva “social” dalla mia amica Francesca. Allora non eravamo amiche, avevamo studiato insieme comunicazione a Pisa e quello che ci accomunava era un blog. Per dirla tutta non è che il mio blog fosse proprio conosciuto, anzi, direi che lo tenevo piuttosto nascosto, era più che altro un diario per condividere la mia esperienza Erasmus in Portogallo con chi era rimasto a casa.
Dalla festa dell’uva niente è più stato come prima e il blog non è che uno degli aspetti che sono cambiati in questi due anni. Il bagaglio più ricco che mi porto da quell’esperienza è sicuramente quello umano: come grappoli d’uva sono arrivati uno appresso all’altro, nuovi amici che hanno arricchito la mia vita, che mi hanno insegnato come spremerla fino in fondo per trarne il meglio.
Capoliveri di certo ha favorito questi incontri fruttuosi: sono stata accolta col sorriso e l’ospitalità delle persone genuine, ho condiviso pasti che come tetto avevano una volta di stelle e sono stata resa partecipe di quella rivalità sana tra rioni che si capisce solo vivendola. Catapultata nel rione Fosso vestita da antica romana ho capito quanto fosse bello esserci ed esserci in quel modo, come una del paese.
Il secondo anno ho cambiato prospettiva, ho partecipato alla festa dell’uva come reporter, mi sono infilata tra i rioni per testimoniare con immagini e parole quella magia che si ripeteva, quella tradizione che si perpetrava di generazione in generazione con lo stesso entusiasmo e gli stessi sani campanilismi.
Quest’anno ho seguito da lontano Capoliveri in fermento e vedere le foto della festa mi ha fatto salire una leggera tristezza, come quando osservi una stampa ingiallita di momenti passati e spensierati, come quando guardi le vele in mare e immagini che laggiù, nel blu, qualcuno si sta divertendo senza di te.