Sta in via Roma, in pieno centro a Capoliveri. Quando lo andiamo a trovare ci accoglie in bianco, seduto di spalle, naturalmente a lavorare. A mano, alla vecchia maniera. Come un artigiano cura le sue opere passo passo così lui, Paolo Paolini, sceglie, pulisce, confeziona, produce il suo Palamita.
Cucina tipica, cucina genuina e ricercata. Perché sono dieci anni che Paolo (titolare del ristorante La Taverna dei Poeti di Capoliveri), con Massimo Poli (chef del ristorante) e Oleksandr Ohorodnik (per tutti Alex, aiuto cuoco del ristorante) dedicano il loro tempo e la loro passione alla cura dei piatti da offrire ai loro ospiti. Alexander in realtà si è unito al team da qualche anno, ma il suo apporto è fondamentale.
Così troviamo Paolo e Alex all’entrata, a pulire le ultime parti rimaste di 300chili di Palamita, mentre Massimo è in cucina a imbarattolare l’altra prelibatezza: il sugo.
Ognuno al suo posto e con i suoi compiti. Da buoni artigiani del gusto infatti il trio ha la sua ricetta per i loro prodotti, raccolti nel progetto “L’Elba in un barattolo”:
Il Palamita che usiamo viene pescato nelle zone di Capo Enfola (Portoferraio), Marciana Marina e Marina di Campo. Una volta preso dalla pescheria di Mola, dalla quale ci serviamo, lavoriamo tutto il Palamita qui nel laboratorio nostro, a mano. Lo selezioniamo, lo puliamo e lo sistemiamo, lo ricopriamo tutto di olio di semi, in barattoli che poi saranno sterilizzati e riposeranno per almeno tre mesi. Nel frattempo Massimo prepara e imbottiglia il sugo
Un po’ come con il vino, altra prodotto della natura valorizzato e promosso a Capoliveri e dintorni, il pesce, parente del tonno, sta lì non in cantina, ma in bottega a riposare come fosse prezioso succo d’uva.
Il parallelo con il vino sembra azzeccato se si pensa alla distribuzione fuori dall’isola d’Elba che ha avuto il Palamita sott’olio:
Qui sull’isola forniamo 12, 15 negozi che scegliamo in base a precise caratteristiche, ai prodotti che vendono. In soli due anni poi ci hanno chiesto in molti il Palamita, tra i tanti mi piace ricordare l’Enoteca Charleston, storico locale di Arezzo con la quale collaboriamo da poco.
Una storia che porta i confini capoliveresi oltre mare. Già perché i prodotti che usano Paolo, Massimo e Alex sono tutti del posto:
Il pesce è elbano, ma anche gli ingredienti per il sugo. Le olive ad esempio sono del Provenzali che sta a San Martino; mentre i capperi sono miei, vengono da Capoliveri, dall’innamorata.
Ci dice con orgoglio Paolo, mentre mette da parte l’ennesimo pezzo di Palamita pulito. Palamita del posto e sugo altrettanto, così è se si vuole rispettare i dettami del presidio slow food:
Sia la “Palamita del Mare di Toscana” che il “Sugo di Palamita” che facciamo sono stati insigniti del Presidio Slow Food durante l’ultimo Slow Fish di Genova. Inutile sottolineare quanto questo prestigioso riconoscimento ci abbia inorgoglito considerando inoltre il fatto che si tratta del primo presidio conferito ad un prodotto e ad un azienda elbana.
Un lavoro immenso che però non spaventa i tre:
Lavoriamo a questo progetto con passione, per il piacere di farlo, perché la realtà è che a noi quello che facciamo ci garba un casino