Filippo Boreali ci racconta come è cambiata Capoliveri nel corso degli anni. Una Capoliveri vista con gli occhi di un uomo che ha passato anni in miniera e ha vissuto dalle viscere il cambiamento dell’economia del posto.
Dopo aver letto di Vulca, è ritornato con la mente ai tempi che furono, così abbiamo deciso di raccogliere quello che per lui era il ricordo del suo paese quando era bambino. Quando Capoliveri era chiamato il paese degli asini, da quanti ce n’erano. Quando Capoliveri era circondata da vigneti.
Mi ricordo il paese che era tutto un vigneto, invaso dagli animali che servivano per il trasporto. Ricordo che in via Roma c’erano cantine e stalle dove ognuno aveva il suo appezzamento di terra con la vigna. Tra gli animali l’asino era quello più presente, ma per strada si potevano trovare anche caprette e pecore che servivano per la carne. Era una vita che oggi sembra strana, perché uno pensa a Capoliveri e alla miniera dove lavoravano tutti, ma dopo c’era anche la campagna.
Insomma non solo magnetite, polvere di minerale e carri da spingere, ma anche vitigni e tutto il mondo del lavoro collegato al vino, così Filippo ricorda le attività di paese, quando camminare in centro era tutto un brulichio di mestieri:
C’erano diversi fabbri, l’equivalente di quello che ora sono le officine per le macchine, prima erano piccoli chiostri dove si batteva il ferro. Personaggi mai dimenticati, come Demetrio che lavorava lì dove ora c’è la Coop in centro.
Poi c’era il bottaio sotto via Oberdan, dove tutt’ora c’è il figlio del precedente proprietario che fa il falegname, là dove facevano le botti per il vino due fratelli: Virgilio e Medardo Ragoni che lavoravano per fare botti, tini e tinelli, tutto quanto necessario per le attività delle cantine.
Tutto, o quasi, girava intorno all’industria del vino, non c’era capoliverese che non avesse la propria vigna e relativa cantina.
Quella dei capoliveresi con il vino è una grande tradizione. La tenuta della Vallorita (oggi Ripalte) era famosa per la produzione del vino, qui abitava un marchese che storia narra che lo esportasse pure a Genova. A quei tempi Capoliveri era il centro di maggior produzione vinicola dell’isola d’Elba.
Non tutti però avevano nel sangue la professione e immancabile è il giudizio, spietato, dei capoliveresi 🙂
A Capoliveri però avevamo anche gli “Acetai” quelli che curavano la vigna, ma non sapevano fare il vino. Vero che tutti avevano un vigneto, ma spesso quello che usciva fuori non era proprio un buon vino!